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Chiesa, soldi e trasparenza- di Massimo Rea

L’articolo di Giovanni Viafora apparso sul Corriere della sera del 3 gennaio 2015, ci mostra l’entità delle proprietà della Diocesi di Padova e come queste non siano amministrate al meglio. L’editoriale di Guglielmo Frezza su “La Difesa del Popolo” del 25 gennaio 2015 risponde all’articolo di Viafora nell’intento di correggere più l’impressione generale che i singoli dati riportati.

Questo è a mio avviso l’aspetto meno importante per una analisi della Diocesi padovana. Mi sembra più che giustificato che il clero, nei suoi diversi gradi di gerarchia, non abbia le caratteristiche imprenditoriali necessarie a gestire una proprietà importante; questa non è la sua missione e non è stato preparato e selezionato per assolvere questa funzione. Purtroppo anche gli “uomini di chiesa”, come molti politici, sono spesso tentati di sentirsi imprenditori e perfino finanzieri solo perché hanno la disponibilità di denaro altrui.

Per un giudizio sulla diocesi di Padova, come del resto su tutte le altre strutture ecclesiastiche, l’aspetto più importante è valutare la loro azione nella specifica missione loro affidata e per la quale sono state preparate e selezionate: portare la parola e l’amore di Cristo tra gli uomini.

Ma perché un messaggio sia efficace è importante che sia espresso in modo comprensibile da chi deve riceverlo. Un saggio parroco francescano mi confessava la sua difficoltà nel pronunciare una omelia adatta alla moltitudine eterogenea dei fedeli. Possiamo ancora ricordare gli sforzi di padre Matteo Ricci, spesso anche stigmatizzati dalla curia vaticana, per rendere il messaggio evangelico comprensibile ai cinesi. Dobbiamo allora chiederci quale è stata l’azione della diocesi sotto questo aspetto. Come sono stati preparati e selezionati i sacerdoti per essere in grado di parlare non solo ai credenti ma, anche e forse soprattutto, a coloro che hanno difficoltà a credere? Ho il sospetto che non solo la curia padovana ma forse quasi tutta la gerarchia della chiesa cattolica si sia arroccata nella tradizione della controriforma: autoreferenziale e ferma sulle sue sicurezze facendo prevalere dogmi e comandamenti piuttosto che l’amore di Cristo.

Dei diversi aspetti da considerare a questo proposito limitiamoci a due: l’esigenza di conoscere il pensiero e il sentire dei destinatari del messaggio (uomini e donne di oggi) e l’articolazione del messaggio cristiano perché sia da essi recepito.

Per quanto riguarda il primo aspetto ho il dubbio che una larga parte del clero e dei fedeli non si sia preoccupato di conoscere l’evoluzione della società che purtroppo è sempre più veloce al punto che perfino per i genitori è difficile conoscere il pensiero ed il sentire dei figli. E’ necessario un continuo e umile ascolto dei giovani perché il messaggio evangelico possa essere formulato in modo da loro comprensibile. Purtroppo la posizione di molti sacerdoti e fedeli è: le cose stanno così, se la società non le capisce non è colpa nostra ma dei media, delle strutture dello stato, degli interessi economici o in definitiva dell’azione del demonio . Questa è spesso solo una giustificazione per non impegnarsi a fondo a capire il perché la società non recepisce il messaggio evangelico.

Un tempo la confessione permetteva ai sacerdoti di aggiornarsi sulla evoluzione della società; oggi purtroppo la confessione è diventata rara, sostituita da altre forme di confronto e assicurazione delle problematiche personali e intime. La caduta del pudore e la presenza di blog su internet finisce per fare le veci della confessione. E’ allora necessario che la Chiesa si domandi perché, soprattutto i giovani, non frequentino più il sacramento della confessione malgrado condividano molto più di una volta il sacramento della eucarestia.

Per quanto riguarda il secondo aspetto possiamo ricordare l’innovazione portata da papa Francesco; il messaggio biblico dei comandamenti è stato aggiornato da Cristo con l’amore verso Dio e verso i fratelli. Alla fermezza nel ribadire i principi deve allora accompagnarsi la misericordia nel considerare le debolezze umane. E’ comune a molti che si dichiarano credenti la convinzione di essere “giusti” e quindi stabilire come “principi” la propria condotta; la corretta convinzione deve invece essere che siamo tutti “peccatori” e che abbiamo bisogno del perdono anche di coloro che consideriamo peccatori. Si tratta in soldoni di avere un approccio “umile” nei confronti di tutti.

Professor Massimo Rea- Consiglio Assocuiazione Ex-Alunni Collegio Antonianum

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