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PER MEDITARE TUTTO L’ANNO…di Ruggero Ferro

Proponiamo i testi integrali delle meditazioni promosse dall’Assistente degli ex Alunni dell’Antonianum Padre Mario Ciman che ha affidato ad Angelo Ferro due incontri su ” Umiltà e Misericordia”. Una traccia utile per riflettere e vivere la Parola.
Prima serata, 21 dicembre 2015
Mi è stato chiesto di preparare una meditazione per questo miniritiro spirituale in preparazione del Natale, e ho accettato di preparare quello che presenterò, nonostante la mia ignoranza e i miei limiti. Così sono imbarazzato nel presentarmi a voi.
Chi sono io da poter dire qualcosa, con che competenza, con che preparazione? Non sono certo un modello da seguire!
E se, per qualcuno, quello che dico è di ostacolo o di scandalo nel suo rapporto con il Creatore?
D’altra parte sono una persona fortunata che ha ricevuto troppi doni immeritati (dalla famiglia in cui sono nato, all’educazione che ho ricevuto, alla moglie che ho avuto, alle persone che ho cono-sciuto, alle mie esperienze di vita), forse devo cercare di condividere i doni ricevuti con altri speran¬do di comunicarli senza tradirli. Così vi chiedo di comprendere ciò che cercherò di dire, anche oltre il mio povero modo di esprimermi.
In questi giorni è iniziato l’anno della misericordia!
Eh! Piano con questa storia della misericordia: con i tempi che corrono, bisognerà pur guardarsi da¬gli attacchi alla civiltà, ed essere attenti più che misericordiosi, difendersi da coloro che uccidono indiscriminatamente e distruggono quanto ottenuto in secoli di civilizzazione ben avanzata in certe zone del mondo. Vogliamo tornare all’età della pietra e alla legge della giungla?
Davvero? Crediamo davvero alle posizioni espresse come quelle che colgono meglio la situazione?
O siamo noi che invece di dare misericordia abbiamo tanto bisogno di ricevere misericordia, sicché dobbiamo anche essere misericordiosi.
Forse serve un po’ d’umiltà. Forse dobbiamo capire perché essere umili.
Vorrei dedicare questa serata a comprendere perché essere umili.
Domani sera parleremo di misericordia.

1. ENORMI QUANTITA’
Ormai è una conoscenza popolare che l’universo in cui viviamo ha quasi 14 miliardi di anni ed è popolato da decine di migliaia di miliardi di miliardi di stelle anche di terza generazione. Le stelle di terza generazione sono quelle morte e riesplose per ben due volte in modo che dal plasma iniziale di protoni e elettroni si potessero formare gli elementi più pesanti come ossigeno, carbonio, piombo, eccetera.
Sono quantità così enormi che difficilmente ci rendiamo conto della loro dimensione.
Acceleriamo un po’ il tempo per capire meglio quant’è lontano14 miliardi di anni fa, e riduciamo tutta la vita dell’universo a cento anni. Su questa scala un anno dura due decimi di secondo e un se¬colo 20 secondi.
Per ottenere tanti risi quante sono le stelle bisognerebbe attendere ben oltre 50 mila anni di produ-zione mondiale di riso come quella del 2014 (quasi 750 milioni di tonnellate).
Ma scendiamo dall’universo per fermarci sulla terra. Oggi è abitata da circa otto miliardi di esseri umani. Quant’è otto miliardi?
Se avessimo un ottimo scrivano che riuscisse a scrivere il nome di un qualsiasi umano in un secon¬do, per scriverli tutti dovrebbe lavorare ininterrottamente, senza mai dormire, per più di 250 anni.
Ancora, ogni anno muoiono in media più di 100 milioni di persone, cioè circa 274 mila al giorno.
Di fronte a queste grandezze chi siamo noi, con le nostre preoccupazioni e tragedie?
Infime particelle di polvere del tutto insignificanti!

2. CONTIAMO QUALCOSA?
Non precisamente, non siamo un qualsiasi elemento dell’universo, non siamo insignificanti, siamo esseri molto speciali, abbiamo volontà e sensibilità, sappiamo progettare.
Noi siamo esseri specifici, siamo importanti, abbiamo un valore. Abbiamo sviluppato una civiltà, stiamo trasformando il mondo!
Specifici, come? Importanti, perché? Un valore, quale? E tutto ciò per merito di chi? Nostro forse?
E’ stata nostra la scelta di nascere proprio in quel giorno esattamente dove siamo nati, in modo di essere oggi qui, in una civiltà molto avanzata? E quanto è avanzata la civiltà in cui viviamo?
Lo stato di civiltà cui siamo giunti può esistere solo grazie al fiorire di civiltà precedenti che ci han¬no lasciato grandi eredità.
Ma a che prezzo?

3. VARIE CIVILTA’
Erano civiltà basate sulla schiavitù ottenuta sottomettendo militarmente altre popolazioni.
Nel fulgore dell’impero romano per eseguire una moltiplicazione come quella che oggi indicherem¬mo come 2358×836, si imponeva ad uno schiavo di contare 2358 sassolini (calculi) 836 volte, met¬terli assieme e contarli tutti (da ciò la nostra parola calcolo). Per non menzionare lo sfruttamento de¬gli schiavi (trattati come bestie) nella costruzione di strade, acquedotti, palazzi, combattimenti cru¬enti per il divertimento degli spettatori.
Oggi la schiavitù è condannata, ma siamo così sicuri che non esista più, almeno nelle zone dove abitiamo?
E non dobbiamo dimenticare che la nostra storia è una storia di guerre, le più feroci possibili con gli strumenti del tempo.
Quando ero studente negli Stati Uniti, venivo da un’Italia dell’emigrazione, arretrata in campo scientifico, tant’è che si andava a studiare (e non solo) oltre oceano.
Lì c’era un benessere diffuso superiore alla media italiana, c’erano conoscenze scientifiche molto più avanzate, università con i migliori docenti al mondo.
Si lavorava in un ambiente molto bene organizzato, in un clima competitivo, con un ritmo di lavoro molto intenso e produttivo. Il tutto si concludeva il sabato sera in grandi ubriacature nei bar molto affollati. Erano queste il fine di tanto lavoro?
Ovviamente c’erano anche ambienti molto diversi, e ho conosciuto persone squisite.
Quando poi fui accompagnatore di un gruppo di giovani americani in visita da noi, incontrai tutti i pregiudizi sanitari di chi va in un mondo sottosviluppato. D’altra parte i loro interessi erano molto simili a quelli di molti nostri giovani oggi: musica pop, gag televisive, ma disinteresse per l’arte che vedevano.
Quando poi fui in Somalia, trovai una cultura locale che disprezzava quella occidentale come un sottoprodotto di scarto, utile sono per fornire comodità materiali e tecnologiche.
Anni fa un mio amico somalo fu accusato da altri nella sua comunità di comportarsi scorrettamente, e fu sollecitato a rivolgersi alla magistratura per dimostrare che le accuse erano infondate.
Lui rifiutò tale invito categoricamente, affermando: la gente sa che sono onesto e non lo divento se un giudice lo dichiara, e se alcuni hanno interesse a pensare che non sia così non è il giudice che li fa cambiare d’opinione.
E’ molto difficile parlare di culture più avanzate che possano imporsi ad altre per le loro intrinseche qualità, mi limiterei a notare culture diverse. E poi, dobbiamo essere così soddisfatti dell’ambiente sociale che viviamo?
Il mondo dei furbetti, delle apparenze, dei corrotti, dei prepotenti, di coloro che pensano solo al pro¬prio interesse, di coloro che si vendono, di coloro che si stordiscono perché la loro vita non ha un si¬gnificato, dei cittadini inerti sottomessi
Nulla di cui meravigliarsi: dovunque, e anche nella nostra società, ci sono le mele marce, ma noi abbiamo un sistema giuridico per superare anche queste difficoltà.
Siamo davvero soddisfatti del nostro sistema giuridico napoleonico illuminista in cui ciò che conta sono i documenti formalmente certificati? Se poi questi corrispondono alla realtà dei fatti è un det¬taglio trascurabile. Così si evitano i problemi di coscienza dei giudici che si appellano solo all’evi¬denza delle carte.
In questo periodo di grandi migrazioni, molti vedono scontri tra le culture, altri auspicano la reci-proca tolleranza, pochi parlano d’integrazione che, oltre il reciproco rispetto, cerchi di conoscere gli altri per coglierne gli apporti e le esigenze, anche nascosti, che possono contribuire a una evolu¬zione degli ambienti culturali, che superino l’esistente incorporando gli aspetti migliori di ciascuno.
Ma come determinare e amalgamare gli aspetti su cui costruire una futura convivenza?

4. CONOSCENZA
Potrebbe sembrare ovvio rispondere: mediante la conoscenza della realtà.
La capacità di conoscere è proprio un elemento tipico dell’esser umano, e questa permetterà lo svi¬luppo di una cultura sempre migliore.
Siamo davvero in grado di conoscere la realtà?
La complicazione della realtà (eccessiva quantità di dati disorganizzati), supera di molto la nostra capacità di conoscere.
Troppa informazione equivale a nessuna informazione.
Per non perderci, trascuriamo ciò che sembra irrilevante, astraiamo i dati essenziali, e ci allontania¬mo dalla realtà. Aggiungiamo alle nozioni costruite aspetti, anche contrari all’esperienza , per ren¬dere i dati più facilmente trattabili.
Organizziamo le informazioni introducendo dipendenze e correlazioni, che possono anche essere solo fittizie, ma che sono utili alla gestione delle nostre conoscenze.
Introduciamo la complessità dei modelli della realtà, che sono nostre visioni di essa, che colgono gli aspetti ritenuti essenziali per la soluzione dei problemi che ci toccano.
I modelli incorporano ipotesi anche abbastanza arbitrarie utili alla loro gestione. Un’ipotesi fonda-mentale è quella del determinismo degli eventi fisici.
Non ci può essere alcuna prova di questa ipotesi perché si baserebbe su se stessa, anzi è contraria a molta arbitrarietà che si riscontra.
Tuttavia l’ipotesi di determinismo è essenziale per essere in grado di prevedere il futuro e prendere decisioni su cosa fare.
Addirittura si guardano come deterministici eventi aleatori per gestirli meglio.
La nostra conoscenza del mondo fisico pretende di esser oggettiva, basata su evidenze sperimentali misurabili e inconfutabili.
Tuttavia per costruire e interpretare una sperimentazione, ci si pone all’interno di una teoria che parte da un atteggiamento antropomorfo delle nozioni di dipendenza tra fenomeni: detto altrimenti tutta l’oggettività si basa sulla soggettività della nostra introspezione per cogliere le nozioni di con¬sequenzialità e organizzazione.
Se la nostra conoscenza del mondo fisico si basa sulla soggettività della nostra introspezione; tanto più la conoscenza delle altre persone.
Non ci è certo possibile entrare negli altri per capire i loro sentimenti, le loro motivazioni, la loro volontà, le loro intenzioni, le loro opinioni, i loro desideri, le loro difficoltà, i loro dispiaceri.
Vediamo solo come si manifestano dall’esterno, e da ciò cerchiamo di indovinare cosa prova e chi è l’altra persona.
Confrontiamo le manifestazioni esteriori che percepiamo con ciò che, probabilmente, avremmo fat¬to e provato nelle stesse situazioni e come lo avremmo manifestato.
Com’è difficile mettersi nelle scarpe di un altro!
Com’è difficile ascoltare attentamente l’altro per cercare di capirlo!
“Capire” gli altri ci è spesso utile per sapere come regolarci con loro. Ci accontentiamo di una com¬prensione solo parziale, spesso secondo nostri schemi e finalità, e inevitabilmente secondo la nostra esperienza interiore.
Tanto la comprensione completa di un’altra persona è impossibile. Meno male che è così, in modo che ci rimane un po’ di privacy.

5. LINGUAGGIO
Forse lo strumento più evoluto per cercare di comunicare con gli altri (ed eventualmente capirli) è il linguaggio.
Generalmente si pensa che il linguaggio sia completamente trasparente, cioè che quello che viene detto determini completamente il proprio significato.
Tanto è vero che fin dalla grecità la parola “logos” indicava sia il linguaggio che il ragionamento, quasi che questo fosse completamente precisato dalla sua espressione linguistica.
Per conoscere il significato di una parola basta far ricorso alla sua definizione esplicita, che si trova, con le varie accezioni, sul dizionario. Il suo significato coincide con il significato della frase che lo definisce e che ovviamente non contiene quella parola.
Per conoscere il significato di questa frase bisogna conoscere il significato delle sue parole, ma così s’innesca un regresso infinito di definizioni che rende impossibile precisare il significato di ciascu¬na delle parole cercate.
Tuttavia il dizionario definisce ogni parola. Sì, ma usando parole di cui si cerca la definizione per definirne altre, entrando in circoli viziosi.
Allora il dizionario diventa inutile?
No, sia per superare il regresso definitorio all’infinito, sia per evitare i circoli viziosi, si deve suppo¬ne che il significato di alcune parole sia noto, e da queste si definiscono le altre.
Così il linguaggio non è autosufficiente per precisare i significati delle parole.
Ma forse si può usare un altro metodo linguistico per dare significato alle parole senza far ricorso alle definizioni. Attraverso opportune frasi (che possono contenere la parola di cui si cerca il signi¬ficato) si precisano le caratteristiche del significato da attribuire alla parola fino al punto che queste lo individuino univocamente.
Ma è possibile caratterizzare univocamente il significato di una parola attraverso la descrizione di tutte le sue caratteristiche?
NO, e ora cerchiamo di capirne il perché.
Tecnicamente si dice categorica un’espressione linguistica il cui significato è univocamente deter¬minato, cioè tale che ogni ascoltatore può cogliere solo quello inteso dall’oratore.
Gli studi di logica hanno dimostrato che si possono descrivere categoricamente solo situazioni con un numero finito e ben precisato di elementi.
Situazioni con pur sempre un numero finito di elementi, ma in quantità non prefissata, non possono essere descritte categoricamente.
Se poi gli elementi della situazione considerata sono infiniti, a maggior ragione questa non può es¬sere descritta categoricamente.
Infatti, per quanto la descrizione possa essere precisa, dettagliata e completa, gli ascoltatori possono pensare a situazioni essenzialmente diverse pur rispettando perfettamente tutte le affermazioni enunciate.
Per farsi un’idea di come ciò possa accadere, si pensi alla lettura di un racconto che riguarda un nu¬mero imprecisato d’individui.
Anche se molti personaggi vengono descritti nel dettaglio, ce ne possono essere anche degli altri, al¬trimenti il loro numero sarebbe fissato.
Così, ciascun lettore può immaginarsi degli ulteriori personaggi che hanno comportamenti inventati in vario modo, ma rispettanti tutte le affermazioni fatte nel racconto, che non possono parlare di lo¬ro specificatamente, non essendo presenti nel racconto.
La possibilità di interpretare il racconto in modo diverso da quello inteso dall’autore mostra l’im-possibilità che l’espressione linguistica sia categorica, e anche il tentativo di precisare il significato di una parola attraverso la descrizione linguistica delle sue caratteristiche fallisce.
Così il linguaggio non può autonomamente precisare i significati di tutte le sue parole.
Almeno alcuni significati devono essere conosciuti indipendentemente dalla descrizione linguistica. Ma come allora?
Per gli oggetti concreti presenti nell’ambiente si può far ricorso alla loro indicazione, ma come fare per gli altri? Non certo attraverso il linguaggio, che così mostra i suoi limiti d’imprecisione e di in¬completezza.
Non solo il linguaggio ha questi limiti ma è anche dinamico, varia nel tempo.
Il linguaggio naturale cerca di parlare di tutto quello che può capitare nella vita, non è limitato a specifiche situazioni.
Ma nel tempo gli artefatti costruiti dall’uomo aumentano, le esperienze si accumulano, e il linguag¬gio si deve adeguare alle nuove esigenze.
Generalmente le novità non sono colte da parole totalmente diverse dalle altre, altrimenti pochissi¬mi capirebbero a cosa si riferiscono.
Piuttosto si usano parole già esistenti che indicano qualcosa di molto simile alle quali si cambia il significato per adattarle alla nuova situazione.
Ciò crea naturalmente equivoci e confusione: parlare di nuovi concetti è molto difficile perché, adattando termini con altro significato, si viene facilmente fraintesi.
Se questa è una difficoltà verso i futuro, ugualmente ci sono enormi problemi nell’interpretare espressioni del passato quando certi vocaboli e concetti non erano disponibili.
Come costruire o tramandare mediante il solo linguaggio una cultura che sia colta ugualmente da tutti? IMPOSSIBILE.

6. IL SENSO DI QUANTO CONSIDERATO FINORA
Ho voluto analizzare da un punto di vista puramente umano, laico e nella media, tralasciando le innumerevoli eccezioni, le pretese di valore intrinseco degli esseri umani e delle loro conquiste, notando quanto siano misere: non possiamo sapere perché esistiamo, né qual è il nostro fine, né qual è il nostro valore.
Per quanto ne sappiamo l’umanità ha fatto mediamente dei progressi nei secoli, ma a quale scopo e in quale direzione?

7. SCIETTICISMO
Non posso negare che, limitandomi alle considerazioni fatte, devo concludere con una posizione molto scettica: non possiamo conoscere come mai e a che fine stiamo a questo mondo, né a cosa serve il nostro tribolare. Siamo qui, ci stiamo abbastanza bene, ma cosa ci stiamo a fare?
Certuni direbbero: a imporre i nostri progetti, a godere del godibile, a dominare l’ambiente dove siamo; il tutto centrato su di una egoistica visione di sé. Ma come giustificare questi ingiustificabili trionfalismi?

8.UMILTA’ E FIDUCIA
UMILTA’ GENTE, UN PO’ DI SANA E DOVUTA UMILTA’
Quello che siamo miseramente riusciti a ottenere non è merito nostro personale, per quanto grande sia stato il nostro contributo, ma è dovuto a tutte le conquiste che ci hanno preceduto: ci siamo e riusciamo a vivere dignitosamente grazie agli altri, in particolare grazie a coloro di cui abbiamo fi¬ducia.
Tutti le nostre relazioni produttive si basano sulla FIDUCIA.
Soprattutto fiducia in persone disinteressate che danno gratuitamente l’aiuto di cui necessitiamo.
Il riconoscere umilmente di non essere autosufficienti ci permette di accorgerci dell’aiuto che ci viene dato, che non ci è dovuto, non avendone alcun merito, e di accettarlo con gratitudine.
Con umiltà possiamo riconoscere il nostro ruolo di creature che non sanno perché esistono, non cer¬to per loro volontà.
L’umiltà ci permette anche di accettare il mistero dell’intervento del Creatore nonostante sia tra-scendente e inaccessibile alle forze umane.
In Lui crediamo perché Lui si è manifestato nella storia umana, e, anche se non eravamo presenti al momento opportuno, ne abbiamo testimonianze degne di fiducia.
Ma questo sarà il tema dell’incontro di domani.
Concludiamo questo incontro recitando il Magnificat, che bene mostra l’importanza di un atteggia¬mento di umiltà.

Santo Natale 2015
Il Santo Natale dell’anno giubilare della Misericordia
seconda serata – 22 dicembre 2015

1. DIVINITA’ UMANAMENTE COSTRUITE
Dotati di un po’ di umiltà possiamo accingerci ad affrontare questa seconda serata.
Abbiamo visto che gli esseri umani non sono in grado con le loro forze di stabilire da dove vengo-no, dove vanno, che ci stanno a fare a questo mondo.
Dopo la morte cosa succede? Perché c’è il mondo in cui viviamo? Esiste di per sé o è stato creato? Le forze della natura ci sovrastano, è possibile ingraziarsele? A chi chiedere aiuto? Ci sono forze sovrannaturali?
Questi interrogativi toccano da vicino l’umanità.
Le prime tracce lasciate dagli uomini sulla terra sono le necropoli: chiare manifestazioni del pensie¬ro rivolto a dopo la morte.
L’uomo si accorge dei propri limiti e si costruisce delle divinità, che sono spesso amuleti scaraman¬tici, ma anche miti, o filosofie.
Oppure si ritiene individualmente così potente da innalzarsi a divinità.
Vari atteggiamenti culturali odierni tendono a rivalutare i miti, per giustificare la religiosità di mol¬titudini, pur avversando le varie fedi.
A volte ci si limita ad accettare la natura com’è, attribuendole un valore assoluto cui assoggettarsi.
Alcune filosofie cercano di inserire la divinità come soluzione al principio umano che ogni effetto (la realtà presente, ad esempio) deve avere una causa, fino alla causa prima non causata.
Altre vogliono l’”orologiaio”, cioè colui che fa funzionare le cose che vanno fuori posto, sia che queste siano leggi fisiche non esattamente corrispondenti alla sperimentazione, sia che si tratti di comportamenti antisociali.
Di fronte al problema del divenire che si osserva, ma che è difficile giustificare concettualmente, alcune posizioni vedono la divinità come motore immobile, causa del divenire, ma dove il divenire s’arresta.
Altre ancora vogliono la divinità come origine della norma, del si deve, anche se rimane da discute¬re in concreto qual è la norma.
Altre vogliono vedere nella divinità il principio del dominio e della forza: l’onnipotenza.
La storia è piena di testimonianze di questo tipo.
Le prove (meglio vie) filosofiche all’esistenza di Dio colgono questi auspici/esigenze umane e le vorrebbero trasformare in una evidenza della presenza di Dio.
Tuttavia, non essendo prove, ma solo auspici che portano alla conclusione voluta, sono spesso viste come inganni e hanno (giustamente) provocato più rifiuti che adesioni a un concetto di divinità.
Le varie diverse esigenze umane di divinità che abbiamo osservato, portano a visioni molto diverse, costituendo un ulteriore argomento per l’incredulità verso le divinità proposte.
Ma che valore hanno gli dei costruiti dall’uomo?
In qualche modo rispondono alla superbia umana di voler controllare anche la divinità: so cos’è e come trattare con lei, come ingraziarmela, come renderla utile al mio potere, ai miei desideri.
Storicamente è ben chiaro come il potere si sia servito di divinità per soggiogare i sottomessi e giu¬stificare i proprio privilegi, fino al punto di dichiarare divino il potente di turno.
Così si può capire perché l’umanità si costruisca divinità, ma che valore hanno?
Lasciatemi affermare che le divinità costruite dall’umanità hanno valore NULLO.
Non rispondono a nessuna delle esigenze che hanno spinto l’umanità a costruirle.
Credo che l’unico atteggiamento serio sul problema della divinità trascendente sia il riconoscimento del mistero: non siamo umanamente all’altezza di dire alcunché su di essa, neppure di dire se c’è o meno.

2. INSONDABILITA’ DEL MISTERO
Per l’uomo anche la realtà che lo circonda è un mistero, tuttavia cerca di cogliere le informazioni che provengono dall’esperienza per organizzarle in una visione della realtà che gli permetta di con¬vivere con questa.
Del trascendente, però, non si ha alcuna esperienza, e non è possibile prospettare alcun modo di convivenza.
E’ comune considerare come inesistente tutto ciò che non può né toccare né influenzare il nostro mondo.
Il passaggio da come inesistente a inesistente è brevissimo, e sorge la posizione atea, almeno quella pragmaticamente atea.
A meno che …
a meno che non sia il trascendente che si manifesta a noi.
Impossibile è trascendente!
Come possiamo dire che è impossibile? Se è trascendente non sappiamo neppure cosa gli sia possi¬bile e cosa no.

3. RIVELAZIONE CREDIBILE?
Di fatto nella storia dell’umanità ci sono molti episodi difficilmente spiegabili se non accettandoli come comunicazione del trascendente all’umanità.
Ma anche tali eventi, comunque letti, sono dati di fatto da considerare nell’elaborare una visione del nostro rapporto con la realtà e con il trascendente.
Gli eventi avvenuti non in nostra presenza devono essere accettati come dati di fatto senza difficol¬tà, acriticamente?
Certamente no, in particolare se sono dati rilevanti per la nostra vita.
Allora quale criterio di credibilità accettare?
Abbiamo già visto che la cosiddetta scientificità si basa su ipotesi soggettivamente accettate, sicché è un criterio debole, anche se funzionale nella quotidianità empirica. D’altra parte non è applicabile a tutte le situazioni.
Che dire del criterio di storicità? In che consiste?Va precisato.
Si vuole che qualche storiografo abbia riportato che un certo fatto è avvenuto, o ci si accontenta di documentazioni/indicazioni di qualsiasi tipo? Come s’interpretano i vari reperti? Chi sono gli sto-riografi?
Quelli che intendono riferire ad altri, alle future generazioni o anche ai contemporanei, i fatti che stanno accadendo o che hanno indagato o di cui sono venuti a conoscenza, eventualmente nel ruolo di informatori del potere.
A che fine questi estensori di notizie lavoravano? Pagati da un potente?
E chi parla degli innumerevoli fatti (la larga maggioranza) non notati dagli storiografi o non indicati da reparti?
Inoltre, le indagini avvenute molto tempo fa, di che mezzi potevano avvalersi per essere considerate accurate?
Oggi, con molte attenzioni, si possono rivedere le documentazioni prodotte, ma rimane sempre un notevole margine d’incertezza.
In ultima analisi dobbiamo ancora affidarci alla FIDUCIA in altri.
E di chi si può avere fiducia?
Penso che il primo criterio in questo senso sia la mancanza d’interessi particolari da parte della per¬sona di cui si vuole avere fiducia, la gratuità nel suo riferire.
Poi, quanto quella persona è disposta a rimetterci in proprio pur di testimoniare l’attendibilità di un fatto.
Inoltre è essenziale la mancanza di pregiudizi da parte di chi riferisce.
Ma aggiungerei anche l’analisi interna di quanto testimoniato, per evitare l’errore in buona fede.
Mancano pochi giorni al Santo Natale 2015, e ciò già ci offre lo spunto per esaminare e applicare in concreto i criteri esposti.
Lasciamo perdere per un momento le emotività che questa festa comporta, ora vogliamo capire con lucidità la sua attendibilità.
Una volta, ottenuta l’attendibilità, ci lasceremo coinvolgere da tutte le emozioni che ne conseguono.
Questa natività, con tutta la sua eccezionalità, e la storia conseguente, ci è tramandata da persone che non possono avere ricevuto alcun vantaggio umano da questo annuncio.
Non un unico invasato, ma intere comunità di persone sono state disposte a pagare con la vita e sen¬za alcun tornaconto l’affermazione di questo fatto.
Certamente l’affermazione di un fatto così strano e normale al tempo stesso è un indice di mancan¬za di pregiudizi.
Le varie versioni concordi nella sostanza e difformi nei particolari, garantiscono l’affidabilità del messaggio centrale, che non è una combine.
Né si possono ipotizzare errori in buona fede: o è stato così o non stato così, in questo caso non ci sono mezze misure.
Così questo evento è credibile, ben testimoniato, anche se eccezionale e unico, suggerendo un inter¬vento non umano ma trascendente.
Ora si può passate dai controlli di credibilità alla ricerca di ciò che ci vuole comunicare, lascando perdere quelle vuote disquisizioni sull’opportunità che la rivelazione si fosse svolta diversamente: è avvenuta così e a noi spetta intendere cosa ci comunica.

4. LEGGERE LA RIVELAZIONE
Per cogliere il messaggio che ci viene dal trascendente bisogna guardarlo nella sua completezza; ma non possiamo fermarci qui per mesi, sicché cercherò di estrarne sinteticamente dei passaggi rilevan¬ti.
La comunicazione di questo messaggio si è protratta per millenni, adattandosi all’evolversi dell’u-manità: certi concetti e certi atteggiamenti, oggi semplici, non sarebbero stati comprensibili dagli uomini di secoli fa.
Il trascendente comincia con il presentarsi come persona dotata di volontà e di una potenza superio¬re a tutte le forze naturali e umane.
Ben presto viene riconosciuto come il Creatore.
Pur dimostrando di poter dominare la natura e la storia, anche con atti molto cruenti, sceglie di non imporsi, ma di offrire un’alleanza a una popolazione debole, poco coesa, pronta a tradire il patto, per seguire le mentalità idolatre del tempo, con mire individualistiche.
Nonostante si dichiari fin dall’inizio “Dio misericordioso e pietoso, lento all’ira e ricco di amore e fedeltà” (Es 34,6), la reazione umana più vistosa è di timore o di disinteresse verso tale Essere.
Può darsi che i concetti di misericordioso e pietoso, che richiedono un’attenzione per l’altro oltre il dovuto, non fossero compresi a quel tempo: sono atteggiamenti che non si riscontrano naturalmente nell’umanità. Ancora oggi in molte popolazioni non hanno significato.
Alcune culture non hanno una parola per dire grazie, e la persona “misericordiosa” è il babbeo di cui approfittare.
Che Dio sia misericordioso e pietoso, rimane spesso un attributo di Dio, poco compreso perché tali atteggiamenti non hanno risonanza nella cultura e nell’atteggiamento umano. In società dove la pre¬potenza e la vendetta facevano (e fanno) da padrone, la legge del taglione fu un primo passo verso una considerazione dell’altro.
Infatti, limitava la reazione vendicativa a non più dell’offesa ricevuta, contro le usanze del tempo.
Progredendo nel cammino della rivelazione di Dio all’uomo, quando i tempi furono maturi (“nella pienezza del tempo” Gal 4,4) ecco la natività che imprime una svolta decisiva alla rivelazione.
In che senso i tempi erano maturi?
Direi quando lo sviluppo spirituale e civile raggiunto da alcune popolazioni, fu tale per cui i succes¬sivi avvenimenti potevano dire qualcosa, essere significativi, anche se non potevano e non possono essere compresi completamente.
Tutta la millenaria esperienza di Israele, con la sua storia densa di profeti e profezie, aveva portato ad accettare il manifestarsi di Dio, pur in modo misterioso, fino a costruire un clima di attesa del Messia.
Nonostante ciò, la distanza tra quello che doveva avvenire e le concezioni e aspirazioni umane, non permetteva di intravvedere correttamente cosa attendersi. Se Dio è l’Onnipotente e il Re degli eser¬citi, e aveva scelto un popolo come suo, il Messia avrebbe dovuto farlo trionfare.
Ancora l’umanità inciampa in un concetto di Dio costruito dall’uomo, dicendo come deve compor¬tarsi per essere riconosciuto come tale.
Quando il Messia, che entra nel nostro tempo nascondendosi nell’umiltà di un bambino di periferia, si manifesta pubblicamente, i seguaci non ricordano da dove viene, ma sono spesso attratti dal Sal¬vatore, da colui che libera dai mali presenti con una forza soprannaturale.
Ciò che attrae è la sua misericordia.
Certamente anche il suo insegnamento è una potente calamita per i seguaci, tanto che attira gelosie e polemiche dalle autorità religiose.
Ma quando la rivelazione di Gesù arriva al centro del messaggio divino, a una visione di Dio che non è più umana, allora avvengono le defezioni e viene abbandonato.
La visione di Dio che presenta è davvero superiore a ogni possibile immaginazione umana: forse i tempi non sono ancora pienamente maturi.
D’altra parte, non sarebbero mai stati maturi per l’uomo con le sue sole forze, ed ecco il salto incre¬dibile della rivelazione: Dio è Trinità, Dio è amore gratuito.

5. TRINITA’ E AMORE
Ancora queste sono per noi solo parole, quasi incomprensibili, che ci vorrebbero avvicinare al mi-stero insondabile del Dio unico e trascendente, e che invece lo allontanano se si rimane prigionieri di una visione di un Dio costruito dall’uomo.
In una visione umana, Dio deve essere unico e potente, piuttosto che trinitario e amoroso, eventual¬mente misericordioso nel concederci un dopo morte pieno di godimento umano, slegato dal nostro comportamento in vita.
Allora, perché ci ha detto di essere Trinità e Amore? Per confonderci? Per impedirci di credergli?
Se abbandoniamo la volontà che sia l’uomo a determinare Dio, dobbiamo impegnarci seriamente a cercare di capire il messaggio, anche aggiornandone l’interpretazione con le conoscenze e la sensi¬bilità che l’umanità matura nei secoli (aiutata dall’opera dello Spirito Santo).
Con mente libera torniamo al punto centrale: Dio è Trinità, Dio è amore gratuito.
La Trinità ci fa intravvedere la vita interna di Dio.
Ci sono varie volontà che però si amalgamano nel vivere la volontà dell’altro nell’amore per l’altro.
Così capiamo che è possibile la molteplicità delle libere volontà, la creazione e la presenza di Dio nella storia che si svolge nel tempo e nello spazio.
Il tempo e lo spazio condizionano ogni nostra esperienza e visione del mondo, ma, con questa men¬talità, non possiamo condizionare Dio a essere limitato dal tempo e dallo spazio: ne è fuori.
Pur essendo fuori dal tempo e dallo spazio, possiamo accettare che in Lui c’è il divenire e la vita, proprio per il suo essere Trinità.
Il suo essere Trinità e anche unità ci dice esattamente che è Amore, Amore delle tre Persone, Amore di se, che sintonizza le volontà.
La fecondità di questo amore porta alla creazione, fino alla nostra esistenza di volontà libere.
L’Amore divino per se si estende all’amore per le sue creature.
Il messaggio centrale proveniente dalla modalità della rivelazione è: Dio ama le sue creature .
La libera accettazione di Gesù di essere messo a morte, non è un sacrificio cruento espiatorio di una qualche offesa, come l’uomo offre alle divinità da lui costruite seguendo la propria concezione di come placare la vendetta.
E neppure il dono di quanto di meglio si ha per mostrare la considerazione che si ha per l’altro (do¬nando al Trascendente l’oggetto del dono deve essere consumato).
Invece è la dichiarazione dell’illimitatezza del suo amore per l’umanità: dà tutto, anche la propria vita.
La morte di Gesù non è stata solo segno d’amore e di umiltà, ma anche di gloria e di potenza.
Non è quasi morto e poi si è ripreso in una vita umana senza fine, è proprio morto ed è resuscitato a una nuova vita fuori dal tempo, ma che entra anche nel tempo per mostrare a chi è nel tempo la real¬tà della resurrezione.
E’ proprio l’amore potente e misericordioso della resurrezione che salva chi accetta di essere salva¬to.
Ciò che colpisce in tanta gloria e potenza è il rispetto della libera volontà del singolo uomo.
L’amore immeritato, sovrabbondante, che ci viene offerto gratuitamente, incondizionato, è pura MISERICORDIA, cioè è comprensione e compassione per le nostre miserie e limiti umani.
Ciascuno può accettare il dono dell’amore di Dio ma non è costretto a farlo: nella sua superbia può ritenersi autosufficiente.
Dio non stabilisce il corso della storia secondo un suo progetto nascosto, ma lo lascia all’uomo.

6. COLLABORATORI
Ci offre di essere suoi collaboratori nel costruire la storia, usando la nostra libertà, il nostro senso del meglio, la nostra comprensione delle necessità degli altri, la nostra dedizione a loro, e il nostro impegno fantasioso, mossi dall’esperienza del suo amore immeritato.
Così anche noi, mantenendo la nostra volontà individuale, ci uniamo nell’attualizzare l’amore mise¬ricordioso che viene da Dio ed è diretto a tutti e ciascuno.
Sono io che posso accettare senza riserve l’amore misericordioso di Dio.
Sono io che, colpito dall’amore divino e dalla sua gloria, amo Dio.
Sono io che investito della misericordia di Dio devo imparare il significato di questo sentimento co¬sì lontano dalla comune esperienza umana.
Sono io che, con tutte le mie capacità, cerco di capire il messaggio che mi manda.
Sono io che accetto di essere suo collaboratore.
Di conseguenza, sono io che assumo la responsabilità di comunicare fedelmente il suo messaggio a¬gli altri, anche alle future generazioni, e tutti diventano miei fratelli.
Sono io che devo rispettare l’altro nella situazione in cui attualmente si trova.
Sono io che devo inventare il modo di manifestare agli altri la misericordia di Dio qui e ora, e non solo come auspicio.
Ma ben sappiamo, e dobbiamo umilmente riconoscerlo, che quello che ciascuno ha lo ha ricevuto in dono grazie particolarmente agli altri.
Così, certo, sono io il protagonista e il responsabile del mio impegno e del mio comportamento, ma, come abbiamo visto ieri, io grazie agli altri e, soprattutto, io per gli altri, affinché il mio agire abbia significato, come abbiamo appena notato.
Ma, anche, io con gli altri, perché solo allora si può realizzare qualcosa di efficace, nonostante i miei limiti individuali.
Uno slogan per riassumere le ultime osservazioni:
IO, IO grazie agli altri, IO per gli altri, IO con gli altri.
Questo atteggiamento è molto più impegnativo del rispettare le regole o le leggi fissate: con queste uno fa quello che si deve fare ed è a posto, ora invece non si è mai a posto poiché si può fare sem¬pre meglio nell’inventare senza guide come manifestare l’amore e la misericordia di Dio.
Ecco allora le comunità, le chiese, ma anche tutta l’attività umana laica nel mondo, per trasmettere fedelmente l’essenza della rivelazione ai futuri figli di Dio; ma anche per lasciare loro un mondo più intriso della misericordia e più aperto allo sviluppo della comprensione dei misteri (umani e trascendenti), con l’aiuto dello Spirito Santo.
Io, le comunità, la chiesa, la società, per quanto animati da nobili intenti, siamo intrisi dei limiti e della debolezza umana.
Così abbiamo bisogno di tanta misericordia, non solo divina, ma anche da parte dei fratelli, che l’hanno appresa da Dio, e la usano per edificare un mondo migliore.
Ecco che allora diventa importante l’ascolto delle esigenze, la comprensione delle difficoltà, l’ac-cettazione dei diversi punti di vista e delle mancanze ed errori propri e altrui.
Nei vari luoghi e tempi la realizzazione concreta delle società e comunità segue vie diverse legate alle diverse situazioni. Si costituiscono diverse culture.
Ma non bisogna confondere gli apporti, pur ottimi e opportuni, delle varie culture con il messaggio centrale della rivelazione.
Questo può essere declinato in vari modi nelle varie situazioni, e ci sono molti esempi edificanti di ciò.
Certo non va imposta, in altre situazioni, una specifica cultura, con tutti i suoi complementi e ag-giunte al messaggio centrale venuto da Dio. Sarebbe ipocrisia farisaica.
Il mandato a evangelizzare il mondo è un’offerta della buona novella possibilmente a tutti, e non un’imposizione, perché ciascuno mantenga la libertà di accettare o meno la misericordia divina.
Umanamente tendiamo a riprovare chi non accetta un dono prezioso.
Ma non è così per la misericordia divina, che ama e ha compassione anche di chi la rifiuta, mostran¬do di quanto è superiore alle concezioni e alle miserie umane.
La misericordia è un atteggiamento super umano, di un’umanità eroica.
La misericordia ha compassione anche di chi pretende di stabilire cos’è bene e cos’è male, atteggia¬mento della superbia umana fin dalle origini .
La pretesa di sapere cos’è bene e cos’è male porta spesso alla imposizione di modi di vita sugli altri, e questa è una seria offesa alla misericordia, che la stessa misericordia sa compatire.
Così l’uomo, con i suoi limiti, necessita una continua conversione.
Non una conversione ad altra religione, ma conversione dagli inquinamenti degli atteggiamenti in-terni spirituali verso un atteggiamento sempre più puro, anche senza la possibilità di conquistare la perfezione.
Tutto ciò per rispondere alla incredibile, generosissima, magnanime, immeritata misericordia che il divino Amore ha per noi.

8. PATER
Vi propongo di avviarci alla conclusione di questa meditazione esaminando una preghiera che ci è tanto abituale da nasconderci la sua profondità ed eccezionalità.
Padre nostro che sei nei cieli,
Come ho potuto avere il coraggio di pronunciare una tale enormità: che sei nei cieli vuol dire che sei inarrivabile, trascendente, il Creatore, il Re e Signore dell’universo, e io oso chiamarti confiden¬zialmente Padre?
Sì, lo faccio perché così mi ha insegnato e autorizzato tuo Figlio (in che senso figlio?), per l’amore infinito di Padre autentico che ci ha detto che hai per noi (e anche per me). Egli in questa frase ha condensato la rivelazione.
Sia santificato il Tuo Nome,
Lo credo bene! Con la Tua gloria, la Tua potenza, la Tua magnanimità, la Tua misericordia, la Tua tenera attenzione, anche attraverso il Tuo Figlio, possiamo solo santificare il Tuo Nome.
Venga il Tuo regno e sia fatta la Tua volontà,
E come potrei desiderare diversamente: è un regno d’amore, di misericordia, di felicità e di esultan¬za del quale Tu vuoi che le tue creature siano partecipi.
Ma, poiché ci hai fatti collaboratori al Tuo disegno d’amore, quel venga e quel sia non riguardano qualcun altro, eventualmente Tu stesso, che si impegni a realizzarli, ma c’è anche la mia volontà e il mio impegno affinché sia così.
Come in cielo così in terra.
Certo nell’irraggiungibile dall’uomo, che vive nel tempo, tutto va come Tu vuoi. Un po’ più diffici¬le è la situazione sulla terra. Qui siamo appesantiti dalle nostre miserie, dai nostri limiti e dalla no¬stra presunzione, ma la Tua misericordia superi tutto ciò, e anche noi ci impegniamo a migliorare la situazione.
Dacci oggi il nostro pane speciale e quotidiano.
Siamo deboli e limitati, così mai riusciremo a mantenere gli impegni che ci stiamo assumendo, sen¬za un Tuo sostegno e aiuto determinante, la Tua presenza. Per favore non farcelo mancare.
Rimetti a noi i nostri debiti,
Altrimenti non potremmo stare neppure alla Tua presenza, e tanto meno collaborare alla diffusione della Tua amorosa misericordia.
Come noi li rimettiamo ai nostri debitori.
No, non chiederci tanto, non saremmo mai in grado di ottenere la Tua misericordia, ma accontenta¬Ti del nostro impegno serio a essere misericordiosi, di quella misericordia che Tu ci hai insegnato, e praticala con noi anche in questo caso.
Non ci abbandonare nella prova.
Tu conosci la nostra debolezza, e le difficoltà che troviamo nella vita quotidiana che è la nostra prova di adesione al tuo amore misericordioso. Tu sai anche di quale aiuto abbiamo bisogno, e per¬ciò non abbandonarci.
Ma liberaci dal maligno.
Certamente contro di lui siamo perdenti, sicché c’è proprio bisogno del Tuo aiuto che ci liberi.
AMEN
Vi pregherei di pronunciare molto lentamente questa preghiera, magari quando si è assieme, per avere il tempo di almeno ricordare la profondità, l’immensità, la novità rivelata da Gesù contenuta in questa preghiera.
Vi ringrazio delle vostra attenzione, mi scuso per i miei limiti che si sono palesati affrontando un argomento che è certamente al di sopra delle mie capacità. Spero comunque che almeno parte di quello che ho cercato di comunicare della mia esperienza possa essere utile a qualcuno.
Ma anche se è stato tutto inutile, ci penserà il nostro Signore misericordioso a far risuonare qualcosa di buono nel cuore di ciascuno al momento debito, che solo Lui conosce.

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